…riprendiamoci il futuro!

 ...riprendiamoci il futuro!

 …riprendiamoci il futuro!

Se per qualcuno "precarietà" o "crisi" sono solo parole,
magari da usare in qualche talkshow televisivo per
rimediare qualche voto, per noi sono la sintesi
delle nostra realtà
.

Subiamo, ogni giorno, gli effetti di una precarietà
che ormai rappresenta la cifra delle nostre vite, che
qualcuno sta tentando ri rubarci.

Correre di qua e di là nel tentativo di rendere compatibile
lavorare e studiare. Essere costretti a due lavori, magari con chiamata
all’ultimo memento (e che importa se avevi altri programmi), sempre in
nero e senza permessi o licenze. Subire meccanismi di formazione di
stampo ormai quasi "industriale", fra accumolo di crediti e badge
elettronici. Non poter passare una serata con gli amici, perchè non si
può stare nelle piazze a bere una birra ed i soldi per un locale non ci
sono.  Dover fare salti mortali per andare al cinema od a teatro, o
comprare un disco. Fare i pendolari fra roma e l’hinterland, su trenini
schifosi e pieni come carri bestiame. Essere ridotti a semplici unità di
produzione, sfruttati – corpo e mente – ed usati per il profitto di
altri, sempre piu’ ricchi mentre noi, sul serio, non arriviamo a fine
mese – e neanche spesso possiamo farci di questi conti, perchè  lo
stipendio non sai quando e se arriverà e quanto sarà.

L’impossibilità di avere progetti, di emanciparsi dalle
famiglie (se poi a trentanni ancora viviamo con i genitori, o magari
dobbiamo chiedere un aiuto per comprare una macchina, ci dicono anche
che siamo bamboccioni), di sviluppare relazioni sociali, di esprimere le
proprie capacità e sviluppare le proprie affinità, di un minimo di
tranquillità almeno ogni tanto. Una generazione cui hanno provato a
togliere il futuro.

Una generazione che era condannata alla precarietà,
e che molti credevano avrebbe accettato qualsiasi cosa
tanto ormai ci era abituata.

Una generazione di precari, che, invece, si è scoperta,
giorno per giorno, ribelle ed incompatibile.

Determinata a riprendersi tutto quello che le spetta.

Le strade, riempite dei nostri corpi e delle nostre passioni, negli
ultimi mesi hanno raccontato anzitutto questo.

Vogliamo riprenderci tutto, vogliamo resistere per
vivere, vogliamo sovvertire un sistema sociale che ci sta rubando la
vita.

 

Si sono suseguiti negli scorsi mesi i vertici internazionali
che stanno affrontando la questione della crisi sotto diversi profili.
Dopo il summit dei ministri dell’economia, quello dei ministri
dell’istruzione e della università a torino. A roma, invece, si è tenuto
prima dell’estate un incontro che tratterà di immigrazione e –
incredibile accostamento – terrorismo internazionale. Infine, a Luglio
c’è stato il g8, dopo otto anni di nuovo in italia, provocatoriamente ed
ipocritamente fissato nell’abruzzo devastato dalla speculazione e dal
saccheggio di decenni. A breve, invece, si terrà un summit
internazionale a Copenaghen, che tratterà anche di
“ambiente in tempi di crisi”, sancendo di fatto l’annullamento degli
accordi di Kyoto.

In tutti questi mesi abbiamo risposto con determinazione, e
continueremo a risponderemo: "noi la crisi non la paghiamo".

La crisi la paghi chi ne è causa: le banche, i speculatori, i
padroni, i manager. Non pagheremo noi la crisi, e neppure
accetteremo che, con la "emergenza crisi"
, vengano giustificati
interventi che peggiorino ancora le nostre condizioni di vita, magari
aumentando l’ossessione di controllo ed usando la paura.

  Continuiamo a raccontare alla città, e raccontiamo fra noi, anche
la nostra quotidiana ribellione a quello che hanno
tentato e tentano di imporci.

Raccontiamo una storia di riappropriazione, giorno
per giorno, centimentro per centimetro.

Una storia collettiva che strappa, con rabbia e gioia, la
possibilità di avere una casa, la possibilità di vedere un film e di
passare una serata assieme, la possibilità di manifestare dove e quando
vogliamo in una città che è per sempre nostra, la possibilità di non
pagare i servizi essenziali  (come quello dei trasporti) che le
istituzioni non garantiscono, di vivere in modo almeno decente, di
sperare.

  Una storia che, dalle recenti occupazioni abitative di
giovani precari
(come a portonaccio o centocelle) alle scuole
e facoltà finalmente vissute
e aperte, dalle occupazioni
delle metro ai cineforum
dei collettivi territoriali, dai pomeriggi
autogestiti nelle ville
fino alle iniziative nelle piazze
che qualcuno pensava di poter militarizzare
, dice con chiarezza
che abbiamo cominciato a riprenderci tutto, dal basso, assieme,
autorganizzandoci.

  E se qualcuno, in queste settimane, ha pensato di farci
paura
– con le denunce (dall’inaugurazione dell’anno accademico
all’occupazione di via induno, ormai sono centinaia) o con le
manganellate, ancora una volta ha fatto male i propri conti,
e lo dicono i fatti di tutti i giorni, e lo diranno quello che siamo
intenzionati a continuare a far vivere.

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